Abitare le periferie

Abitare le periferie

12 Gennaio 2017 Off Di Suore Divina Volontà

Gennaio 2017

Mt 2, 19- 23

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.

Hai appena messo piede, Gesù,

su questa nostra terra

e già partecipi alle sofferenze di tanti uomini e donne

minacciati e perseguitati, costretti ad emigrare per sfuggire alla violenza dei potenti,

alle loro flagranti atrocità, alle loro perenni ingiustizie.

Si, proprio fin dall’inizio nulla ti viene risparmiato:

cittadino a pieno titolo di un pianeta irrigato dalle lacrime e dal sangue,

non vieni sottratto alle pene e alle fatiche della povera gente.

E la tua famiglia è del tutto simile

a quelle che abbandonano la patria in cerca di un futuro migliore,

a quelle che vivono da straniere per assicurarsi un riparo sicuro,

a quelle che affrontano mille disagi pur di trovare un lavoro dignitoso

con cui guadagnarsi il pane.

Prima di approdare a Nazaret, al paese che resterà accanto al tuo nome,

la tua famiglia viene sottoposta alle umiliazioni,

alle angosce, alle paure, alle ristrettezze e agli stenti di chi cerca asilo.

Insegnaci dunque, a riconoscerla in tutte quelle famiglie

che bussano alla nostra porta e chiedono aiuto.

(Roberto Laurita)

La parola periferia è molto cara a papa Francesco e indica gli estremi confini in cui l’evangelizzazione può arrivare attraverso i cristiani. Ci sono gesti che possono spostare i confini, possono separarci o unirci. Siamo chiamate a immergerci nelle nostre realtà per riportare al centro dell’attenzione coloro che la società pone ai margini.

Le periferie esistenziali sono i luoghi in cui “c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni” (messa crismale); sono i luoghi abitati “da tutti coloro che sono segnati da povertà fisica e intellettuale” (convegno di Roma); sono i luoghi dove sta “chi sembra più lontano, più indifferente” (Omelia nella giornata mondiale della gioventù, Rio de Janeiro, 28 luglio 2013), dove “Dio non c’è” (Visita pastorale ad Assisi, Incontro con il clero e i religiosi, 4 ottobre 2013); sono “le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (Esortazione apostolica Evangelii gaudium 20)”. (Enzo Bianchi)

La nascita del bambino Gesù è il rapporto definitivo di Dio con l’umanità, il suo abitare in mezzo a noi. Maria e Giuseppe rischiano la loro vita affrontando più viaggi e disagi, per amore del Figlio e cercando la volontà di Dio su di loro e sul bambino.

In particolare San Giuseppe, figura apparentemente periferica nella vicenda umana di Gesù, non parla mai, ma sa ascoltare il proprio profondo, i sogni che lo abitano, perché l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. La famiglia di Nazaret vive nella periferia ed è costretta a spostarsi ancora più in là per difendersi dalla malvagità di un uomo, fugge lontano per non essere al centro dell’attenzione, per non essere vista, fugge in Egitto, lontano dalla sua terra. La periferia è la parte estrema, più marginale, contrapposta al centro. Oltre a indicare una collocazione geografica, aggiunge spesso una connotazione riduttiva di squallore e desolazione.

Mentre Erode si sente minacciato nel suo potere e la paura lo rende violento, Giuseppe non ha paura ed esprime con amore e con i fatti la sua obbedienza a Dio.

La logica del potere e della paura si contrappone a quella del dono e della gratitudine. Matteo oppone l’atteggiamento di Erode a quello sapiente di Giuseppe, l’uomo dei sogni perché si fida delle promesse di Dio, è pronto ad andare, di notte, nella speranza, fidandosi di un sogno. Erode resta immobile, inchiodato al suo trono, incapace di vedere le stelle e aprirsi al futuro. Erode invia soldati; Dio manda un sogno. Ma un granello di sogno, caduto dentro gli ingranaggi duri della storia, è sufficiente a modificarne il corso.

Così ogni nostro piccolo gesto quotidiano, la cura e la custodia di altri, il fidarci di un sogno che Dio ci manda oggi con i nostri piccoli gesti, cambiano la storia. La mia piccola storia, poco alla volta cambia la grande storia.

Per quattro volte nel racconto di Matteo una serie di tre verbi caratterizza il suo agire. “Alzati, prendi con te il bambino e fuggi…” (Mt 2, 13; 2, 14. 20. 21). Erode, anziché riconoscere il dono, ascolta la voce della sua paura e si sente minacciato. Al contrario Giuseppe, anche nel momento in cui la sua vita e quella dei suoi cari è in pericolo, ascolta la voce di Dio e si sa custodito dal suo dono.

Giuseppe è l’uomo che resta aperto al sogno di Dio. Giuseppe rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che prendendo su di sé vite d’altri, si fidano dell’amore e lo vivono senza contare paure e fatiche; sanno che “compito supremo del mondo è custodire delle vite con la sua vita” (Elias Canetti)

L’evangelista ci presenta la famiglia di Nazaret come modello di ascolto della voce del Signore e messa in pratica della sua Volontà. Anche a Giuseppe la chiamata di Dio ha dato la forza di intraprendere un viaggio, non solo una volta nella vita, ma ogni volta che il Signore chiama.

Quando Giuseppe rientra in terra d’Israele non può stanziarsi in Giudea, perché là regna il figlio di Erode, Archelao. La scelta di abitare a Nazaret realizza il piano misterioso di Dio che vuole la salvezza delle genti. Infatti la Galilea è territorio di confine e una regione di popolazione mista dove dovrà brillare la luce della salvezza per il popolo che dimorava nelle tenebre (Mt 4, 16).

Il nome del villaggio dove Dio ha voluto che la sacra famiglia stabilisse la sua dimora, Nazaret, indica una geografia teologica perché la Giudea diventa il simbolo dell’Israele non credente, mentre la pagana e poco ortodossa Galilea appare la terra di accoglienza e della fede.

Non si riesce a stabilire una precisa profezia a cui l’evangelista si riferisce. Questo “Nazareno” trova varie spiegazioni nella letteratura esegetica. Una prima lettura vede un riferimento a Nazaret, simile all’appellativo di ‘nazareno’ che Gesù riceve più volte durante la sua vita pubblica e per lo più con una sfumatura dispregiativa. Altri colgono l’intenzione di presentare Gesù come un consacrato fin dall’infanzia (cfr Gdc 13, 3-7). Infine qualcuno ci vede il richiamo alla profezia messianica di Is 11,1 dalla radice ebraica che significa germogliare, sbocciare.

La casa di Nazaret, umile residenza in cui si stabilisce la famiglia di Gesù, diventa luogo dove il Figlio di Dio trascorre gran parte della sua vita e luogo dove Dio dà l’appuntamento al suo popolo per la manifestazione del Regno. Nazaret è la mia casa, il quotidiano e l’eterno, la cronaca dei giorni feriali: in casa e nel respiro della grande storia dove Dio abita.


Spunti per l’approfondimento a partire dalla vita di madre Gaetana

Nel commento all’Eucarestia del 26 novembre dell’anno appena concluso, il nuovo abate di Bassano, parlando di Gaetana, sottolineava ciò che lo aveva colpito della sua vita: lei è diventata scarto con gli scartati della storia, proprio lei che aveva vissuto varie vicende di perdita: gli affetti più cari, la sicurezza economica, la sua onorabilità tra la gente. Non ha temuto di perdere fino a farsi scarto con gli scarti umani della società di Bassano; infatti è andata ad “abitare nel ricovero di mendicità”. Queste persone avevano esistenze periferiche, nascoste, erano messe fuori dalla vista perché non turbassero “la vita quotidiana” della cittadina bassanese.

Ma come è stato possibile che Gaetana non diventasse una donna “disperata” per tutte le vicende sofferte che le erano accadute? come è divenuta una donna che ha fatto spazio in sé, attorno a sé, dove l’abbandono, il dolore, la povertà, l’ingiustizia, sono diventate il luogo e lo spazio per ricostruire umanità, relazioni e speranza?

Cosa o Chi porta Gaetana ad andare verso un luogo che sarebbe stato l’ultimo posto al mondo dove sarebbe voluta essere? Che cosa ne è stato del suo “centrale desiderio di amare ed essere amata? Quale forza la porta ad andare a condividere la vita identificandosi con i “non amati”, con i rifiutati, con gli scartati?

Nello spazio “vuoto” del silenzio quotidiano, della preghiera di adorazione, in cui Gaetana si mette la mano alla bocca e tace davanti al Suo Signore Gesù crocifisso per amore, è lì che Gaetana riceve in dono uno sguardo diverso sulla storia che la porta a rivederlo proprio nell’umanità “scartata”.

Che cosa è centrale nella storia di Gaetana? C’è un percorso interiore: Gaetana in ascolto del Suo Signore, va dal desiderio di essere amata e amare, al desiderio di essere vista e ammirata; dal desiderio di fare del bene alla sua famiglia e a chi ha bisogno, fino al desiderio di farsi santa. Un ulteriore passaggio la porta a porre come “unicum” il voler cercare, amare e compiere ciò che Dio vuole, abbandonandosi illimitatamente nella provvidenza di Dio, che costruisce la storia di salvezza non con le nostre logiche di potere e forza, ma con la libertà del dono. Un movimento che la porterà ad uscire da sé per assumere in maniera vitale l’esperienza di un Amore che le chiede di cogliere in quelle perdite della vita, in quella vita condivisa con i poveri, in quello spazio del suo misterioso incontro con il Signore crocifisso che non abbandona la storia, anzi si manifesta in tutta la sua potenza d’amore proprio in quelle situazioni che sembrano “storia e vita perdute”.

Dentro la storia gli appelli di Dio giungono dalle storie più drammatiche ma che ci portano la testimonianza di uomini e di donne che gli hanno fatto spazio costruendo speranza: Etty Hillesum da Auschwitz, scrive: “Dio cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini…( Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano, 1985, con numerose ristampe)

Sappiamo bene che Gaetana non si è mai accontentata di quanto già faceva, con i suoi familiari, con malati e persone nel bisogno, nel ricovero, a domicilio, con le giovani di strada, con gli appestati, con chi aveva fame. “l’andare ulteriormente ai margini quando già c’era” è stato un movimento continuo: “poteva dire a se stessa e agli altri: basta, dolore, soprusi, servizio, ingiustizie, ne ho vissute abbastanza …ma non lo ha fatto”!!!

Solo una forte interiorità, la “contemplazione” le ha dato quella possibilità di “guardare oltre la superficialità”, ascoltare la sofferenza più acuta, amare oltre l’apparente sopruso e violenza, “lei che come primo compagno di vita ha Gesù crocifisso, un amore donato senza riserve”!

Ci sono luoghi di periferia, scartati; ci sono vite di periferia: lasciate ai margini; ci sono pezzi della nostra vita che vorremmo a volte eliminare, cancellare, ignorare; ci sono aspetti di noi e degli altri che vorremmo mettere ai margini, fuori dalla nostra portata.

Le periferie esistenziali non sono uno spazio che attrae, sia che siano in noi, sia che siano persone o interi popoli. “Ma Signore, se Tu oggi mi e ci chiedessi: chi manderò per noi? O come dicesti allora a Gaetana, lo dici a noi oggi “Sono io che ti e vi voglio fra i miei piccoli, perché disprezzi ciò che per me è prezioso e mi appartiene? ….”

Con le periferie nel cuore

La vita consacrata è chiamata a svolgere la sua missione con modalità nuove in nuovi contesti, fuori della porta e lungo il fiume (cf At 16,13). Ci sentiamo chiamati ad essere presenti, per elezione evangelica, nelle situazioni di miseria e di oppressione, di dubbio e di sconforto, di paura e di solitudine, manifestando che la tenerezza di Dio non ha limiti, come non li ha il suo dolore per la sofferenza dei suoi figli.

Gesù ci invita ad andare oltre, ad azzardare passi ignorati, a collaborare con ogni uomo di buona volontà per avere cura e vigilare sul seme della sua Parola perché cresca vigoroso. Tutto questo implica uscire dall’indifferenza, tirar fori dall’anonimato e dall’umiliazione coloro che sono scartati dal cammino dell’umanità, non lasciarsi dominare dalle comodità, né dai pregiudizi o dall’improvvisazione presuntuosa.

Significa, in fin dei conti, assumere, come fece Gesù Cristo, la più profonda umanità. Paolo con i suoi compagni lo fecero, inventando nuovi modi per giungere alle donne e agli uomini del loro tempo, abitando con loro la ferialità della vita (n. 74 Annunciate, Ai consacrati e alle consacrate testimoni del Vangelo tra le genti, ottobre 2016).